IL CULTO DELL’IMMACOLATA A PALERMO
"I Palermitani e l'Immacolata: un legame d'amore indissolubile"
Da parecchi scrittori antichi la Sicilia è stata definita
«la terra di Maria». L’Isola, infatti, non solo ha accolto il Cristianesimo fin
dall’epoca apostolica, ma dopo il crollo dell’Impero di Roma è rimasta per
molto tempo sotto il controllo dell’Impero Bizantino: ha così potuto godere a
lungo del benefico influsso della spiritualità e della liturgia bizantina,
tutta impregnata – fin dalle sue origini – di una intensa e tenera devozione
alla Madre di Dio. Molti dei meravigliosi inni bizantini in onore della
Vergine, che con insuperabile lirismo cantano i suoi attributi e i suoi
privilegi, rivelano una coscienza indubitabilmente orientata all’affermazione
della Concezione senza macchia di Maria. Non stupisce pertanto che, tra la fine
del VII e gli inizi dell’VIII secolo, in tutto l’impero bizantino, e quindi
anche in Sicilia, si cominciò a celebrare la festa della “Concezione di Maria”.
Sbocciava così, riscaldata dai caldi raggi della spiritualità bizantina, la
devozione del popolo siciliano per la Vergine Immacolata. Quella fede non sarebbe
più venuta meno e, dopo aver resistito alla furia devastatrice dell’Islamismo,
cominciò a manifestarsi in tutto il suo splendore durante l’epoca della
successiva dominazione normanna. Infatti, anche se con i re normanni avviene la
definitiva separazione della Sicilia dall’Oriente cristiano e il suo
riavvicinamento alla cultura latina, è proprio in questo periodo che l’immenso
amore dei siciliani per la «Bedda Matri» trova, nei grandiosi mosaici delle
cattedrali normanne, la sua più alta espressione figurativa, e la fede
nell’Immacolata Concezione di Maria appare ormai come un possesso così
profondamente radicato nell’animo dei siciliani, da trasformare l’Isola – a
partire da quel momento – in un vero e proprio centro di diffusione di questo
dogma mariano nel resto dell’Occidente, dove esso era invece ostacolato da
tante controversie.
Nei primi decenni del XIII secolo si registra l’arrivo in
Sicilia dell’Ordine francescano. È universalmente noto l’apporto decisivo dato
dai Francescani all’affermazione del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria:
occorre però ricordare che principali teatri della loro battaglia furono la
Francia e, successivamente, l’Italia settentrionale; ma non l’Italia
meridionale e, più in particolare, la Sicilia. Al loro arrivo, infatti, il
popolo siciliano viveva già con naturalezza la sua fede nell’Immacolata
Concezione, così come l’aveva ricevuta dalla Chiesa bizantina. Ne è prova il
fatto che in nessun’epoca storica è possibile documentare, in Sicilia,
controversie o recriminazioni su tale privilegio mariano. Pur tuttavia, animati
da profonda pietà mariana, i Francescani diedero ugualmente un notevole
contributo alla vita spirituale del popolo siciliano. E, per quanto concerne la
città di Palermo, il Convento e la Chiesa di S. Francesco (sorta nel 1277) si
trasformarono ben presto in un importante centro propulsore della devozione
all’Immacolata.
Le prime notizie, ampiamente documentate, risalgono però al
XVI secolo e si concentrano attorno alla figura del Padre conventuale Giuseppe
Maria Mandria: a lui si deve, infatti, l’istituzione della più antica
«Compagnia dell’Immacolata» in Sicilia. Narrano le cronache che, mentre il P.
Mandria si recava per mare da Palermo a Napoli per predicarvi la Quaresima, la
nave su cui viaggiava fu assalita da pirati musulmani e i passeggeri furono
fatti schiavi e deportati in “Barbaria”, sulle coste africane. Durante la sua
prigionia, il P. Mandria si votò alla Vergine, promettendole che, se fosse
ritornato salvo in patria, avrebbe fondato una «Compagnia» in suo onore sotto
il titolo dell’Immacolata. Nel settembre del 1575, tornato a Palermo, poté
sciogliere il voto e, radunati dodici mercanti presso la cappella di S. Giorgio
dei Genovesi nella chiesa di S. Francesco, diede vita alla «Compagnia della
Immacolata Concezione», tuttora esistente. La nuova «Compagnia» raccolse subito
le simpatie dei palermitani: i confrati divennero ben presto numerosi e vollero
dotarsi di una sede propria. Così, già nel 1579, acquistarono alcuni immobili
di proprietà del Convento – adiacenti al lato settentrionale della chiesa di S.
Francesco – per farne un Oratorio, ampliato successivamente nel 1581, nel 1685
e nel 1727, quando assunse l’aspetto che si può ammirare ancor oggi. Scopo
precipuo della «Compagnia», dopo quasi quattro secoli e mezzo di vita, continua
ad essere la cura spirituale dei confrati e lo zelo del culto dell’Immacolata.
Fu però nel XVII secolo che la città di Palermo visse i
momenti più salienti della sua devozione alla Vergine Immacolata. In quel periodo,
la Sicilia e la sua capitale dipendevano politicamente dalla Spagna, dove il
culto dell’Immacolata si andava sempre più affermando, soprattutto dopo che il
Concilio di Trento aveva proclamato di “non voler includere nel decreto
dell’universalità del peccato originale la Beata e Immacolata Vergine Maria
Madre di Dio” e aveva rinnovato le disposizioni di Sisto IV del 1483 contro gli
avversari dell’Immacolata. Sia per gli interventi della corte che per i
contributi dottrinali dei grandi teologi della scuola di Salamanca, la
devozione popolare all’Immacolata raggiunse in Spagna livelli euforici: le
manifestazioni di fede più eclatanti iniziarono a Siviglia dove, nel secondo
decennio del XVII secolo, il clero e il popolo giunsero ad obbligarsi con voto
a credere e difendere fino all’ultimo respiro questo grande privilegio mariano.
Fu così che, nel 1618, il re Filippo III ruppe gli indugi e inviò a Roma una
delegazione ufficiale per chiedere al Papa di definire come dogma cattolico
l’Immacolata Concezione di Maria. Pochi mesi dopo, sia il Senato di Palermo che
il Viceré di Sicilia, a nome di tutta l’Isola, seguendo l’esempio del sovrano
spagnolo, facevano pervenire un simile invito a Paolo V. A seguito di queste
pressanti richieste, tre anni dopo, Gregorio XV fece emanare un decreto con cui
proibiva di negare o di avversare la sentenza dell’Immacolata Concezione sia in
pubblico che in privato: si era ormai molto vicini alla definizione dogmatica.
Nella capitale dell’Isola, l’entusiasmo dei fedeli crebbe sempre più. Nel 1622 anche il cardinale Giannettino
Doria, arcivescovo di Palermo, non contento del decreto di Gregorio XV,
presentò al nuovo papa Urbano VIII un’altra supplica per la proclamazione del
dogma: gli animi dei palermitani erano ormai pronti e in attesa del grande
evento. Ma quel momento tanto gioioso e desiderato si sarebbe fatto attendere
ancora per circa due secoli e mezzo. Appena due anni dopo, invece, si abbatté
sulla città un’immane sciagura: nel 1624 scoppiò la peste, che incominciò a
mietere migliaia di vittime.
Il Senato della città cercò di porre rimedio alla ferocia
del morbo con ogni mezzo, “non solo con le diligenze temporali e umane, ma
ancora con le spirituali e divine”. Tra queste ultime vi fu il ricorso
all’intercessione dell’Immacolata e di S. Rosalia: il Senato si impegnò a
celebrare solennemente e in perpetuo la festa dell’Immacolata e quella di S.
Rosalia (dopo il miracoloso ritrovamento delle sue reliquie e il loro
riconoscimento da parte del Sommo Pontefice). L’atto di fede compiuto dal
Senato indusse allora il cardinale Giannettino Doria, divenuto intanto
Presidente del regno, ad emettere in Cattedrale, il 15 agosto del 1624 – a nome
suo, del clero, del Senato e di tutto il popolo, e in conformità a quanto
insegnato dai Sommi Pontefici, dai Dottori della Chiesa e dal Concilio
Tridentino – il voto di credere e di difendere, fino all’ultimo spirito di
vita, l’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, e di digiunare la
vigilia della festa dell’Immacolata. La sera del successivo 7 dicembre, vennero
accese luminarie in tutte le strade della città, e l’indomani, nonostante il
pericolo di contagio, una interminabile e solenne processione, a cui prese
parte tutto il clero, la nobiltà e il popolo, accompagnò dalla Cattedrale alla
chiesa di S. Francesco il simulacro d’argento dell’Immacolata. Cessato il
contagio, il Senato palermitano non dimenticò più gli impegni assunti: ancor
oggi, ogni anno, le autorità civili rinnovano il giuramento pronunciato dal
cardinale Giannettino Doria, intervengono alle solenni funzioni, ed erogano a
favore del convento di S. Francesco una somma di denaro – a ricordo delle 100
onze versate nel 1624 – per la celebrazione della festa e per le necessità del
culto dell’Immacolata.
A seguito di questi avvenimenti, nel 1643, il nuovo viceré
D. Giovanni Alfonso Henriquez de Caprera proclamava solennemente l’Immacolata
“principale Patrona di tutto il regno”: in quegli stessi anni, veniva
realizzato e donato al convento di S. Francesco il simulacro argenteo
dell’Immacolata che i palermitani venerano ancor oggi. Nel 1662, un altro
motivo di grande esultanza fu la notizia della pubblicazione, da parte del papa
Alessandro VII, della Bolla “Sollicitudo omnium ecclesiarum”: con essa il
Pontefice, pur non condannando l’opinione contraria, si dichiarava a favore
della credenza comune della Chiesa nell’Immacolato Concepimento di Maria. A
Palermo, le manifestazioni di gioia e di ringraziamento furono grandiose.
Anche il XVIII secolo iniziò, a Palermo, con una serie di
festeggiamenti: il 6 dicembre 1708, il
papa Clemente XI pubblicò infatti il Breve “Commissi nobis”, con cui elevava la
festa dell’Immacolata a festa di precetto per tutta la Chiesa. Per i
palermitani, che già dal 1425 celebravano l’Immacolata come festa di precetto,
questo atto pontificio fu un ulteriore motivo di pubblica esultanza e di
solenni ringraziamenti. In effetti, dopo più di due secoli dal primo intervento
papale di Sisto IV (1483) e dopo poco più di 40 anni dalla bolla di Alessandro
VII (che aveva chiarito definitivamente l’oggetto e i contenuti della “pia
credenza”), il decreto di Clemente XI – in forza del principio che “la legge
della preghiera è la legge della fede” (per cui la Chiesa universale non può
festeggiare qualcosa che non sia conforme alla Rivelazione) – riconosceva
implicitamente il privilegio dell’Immacolata come verità di fede.
Pochi anni dopo, tra il 1724 e il 1727, l’imperatore
austriaco Carlo VI, che allora governava la Sicilia, aprì a Palermo la piazza
antistante alla chiesa di S. Domenico: al suo centro fece erigere la colonna di
marmo su cui fu innalzata la grande statua bronzea dell’Immacolata. Fu
l’occasione perché in città avvenisse il riavvicinamento, dopo tanti secoli di
divisioni, tra i Domenicani e i Francescani: in segno della ritrovata unione,
stabilirono con atto pubblico che i Francescani avrebbero da allora partecipato
alla processione della Madonna del Rosario e i Domenicani a quella
dell’Immacolata. In quegli stessi anni, sorse a Palermo una nuova confraternita
in onore dell’Immacolata: a seguito della donazione al convento di S. Francesco
della nuova statua d’argento dell’Immacolata (1647), si era imposta la
necessità di reperire chi si assumesse l’onere di portarla a spalla durante le
processioni. Da principio, si trattò di fedeli raccolti di volta in volta per
l’occasione; successivamente, alcuni di loro si costituirono in Congregazione e
stabilirono la loro sede all’interno del convento di S. Francesco. Anche questa
Congregazione, in seguito denominata “del Porto e Riporto”, è ancora oggi
attiva e continua ad adempiere il compito, gravoso ma nobile a un tempo, per
cui fu fondata.
Per tutto il resto del XVIII secolo – mentre in altre parti
d’Europa la vita dei popoli veniva raggelata e sconvolta dal Giansenismo e
dall’Illuminismo rivoluzionario e razionalista – la città di Palermo, a
cominciare dalle sue autorità, continuò invece a testimoniare con naturalezza
la sua fede cattolica, sotto la dolce protezione della Vergine Immacolata. E
anche quando, agli inizi del XIX secolo, il corso degli avvenimenti venne
turbato da profondi rivolgimenti politici, tutte le manifestazioni di fede
precedentemente in vigore restarono immutate: quanto, in onore dell’Immacolata,
la città aveva sancito nel 1624, e per lungo tratto di tempo aveva praticato,
non fu mai rinnegato.
Nel frattempo, anche a Roma la situazione politica
precipitava, al punto da costringere il papa Pio IX, nel novembre del 1848, ad
abbandonare l’Urbe e a rifugiarsi a Gaeta, benevolmente accolto dal re
Ferdinando II. Questi desiderava che la Santa Sede procedesse ormai alla
proclamazione dogmatica del privilegio mariano e avanzò una formale richiesta
in proposito. Sebbene la situazione politica europea non fosse affatto
favorevole, il beato Pio IX inviò a tutta la Chiesa un’enciclica, con la quale
chiedeva di conoscere il pensiero dell’episcopato e i sentimenti dei fedeli in
merito all’Immacolata Concezione di Maria. Le risposte non si fecero attendere.
I Vescovi della Sicilia (che già nel 1838 avevano chiesto alla Santa Sede di
introdurre un prefazio proprio nella Messa dell’Immacolata e un’invocazione
specifica nelle “Litanie Lauretane”) si riunirono a Palermo sotto la presidenza
del cardinale Ferdinando M. Pignatelli e, unanimemente, si pronunciarono a
favore della definibilità del dogma. Scrissero anzi al Papa che “l’Immacolata
Concezione è talmente fissa nella mente dei Siciliani che, da molti secoli, con
decreto solenne delle città, è stata costituita, sotto questo titolo, Patrona
di tutto il regno, e tutti giurano di difendere questo privilegio fino al
sangue”. La corale risposta dell’Episcopato cattolico indusse finalmente Pio IX
al solenne pronunciamento dogmatico. E l’8 dicembre del 1854, in una Basilica
Vaticana gremita di Prelati e fedeli provenienti da tutto il mondo, il successore
del Beato Apostolo Pietro pronunziò quelle parole che tutti i cattolici – ma in
particolar modo i palermitani, che avevano giurato di difendere il privilegio
di Maria “fino all’effusione del proprio sangue” – attendevano da secoli: “con
l'autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e
Nostra, dichiariamo, affermiamo e definiamo, come rivelata da Dio, la dottrina
che sostiene che la beatissima Vergine Maria fu preservata, per singolare
grazia e privilegio di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo
Salvatore del genere umano, immune da ogni macchia di peccato originale fin dal
primo istante del suo concepimento, e ciò deve pertanto essere oggetto di fede
certa ed immutabile per tutti i fedeli”. A Palermo e in tutta la Sicilia, il
vedere finalmente realizzato ciò che per secoli si era desiderato produsse
un’incontenibile esplosione di gioia. Per ordine reale, fu programmata una
lunga serie di festeggiamenti ufficiali da tenersi in tutte le città
dell’Isola, con la partecipazione delle Autorità, dei Dignitari del regno e di
tutto il Clero secolare e regolare, mentre i fedeli facevano a gara nell’ornare
di luci, fiori e arazzi le strade che sarebbero state attraversate dalle
processioni. In conseguenza della definizione dogmatica, l’antica formula del
voto sanguinario – pronunciato ogni anno a Palermo nella chiesa di S. Francesco
dalle autorità civili – venne modificata nell’attuale “Supplica alla Santissima
Vergine Immacolata”: e così, ciò che prima si giurava per libera scelta,
continuò ad essere giurato per fede.
Il XX secolo, nella storia della devozione della città di
Palermo all’Immacolata, è stato il secolo degli anniversari. Si cominciò nel
1904, con i festeggiamenti per il 50o anniversario della definizione dogmatica
e si proseguì nel 1931, con le celebrazioni per il XV centenario del Concilio
di Efeso, durante il quale era stato proclamato il dogma della divina maternità
di Maria. Per l’occasione, furono programmate diverse cerimonie. Nella chiesa
di S. Francesco, la statua dell’Immacolata rimase esposta alla venerazione dei
palermitani per tutto il mese di maggio. A conclusione del mese di maggio, per
commemorare il dogma della divina maternità di Maria, si tenne un Congresso
mariano e si celebrò un solenne pontificale in rito latino e greco. Infine, nel
pomeriggio del 31 maggio, si svolse un’imponente processione fino al piazzale
del Foro Umberto I, dove, sotto un arco trionfale, alla presenza delle Autorità
civili e militari, il cardinale Luigi Lavitrano procedette alla solenne
incoronazione della statua dell’Immacolata, a nome del Capitolo Vaticano.
Il primo novembre del 1950, un altro importante avvenimento
lasciò un segno profondo nella coscienza cristiana e mariana della città di
Palermo: la proclamazione, da parte del papa Pio XII, del dogma dell’Assunzione
al cielo in anima e corpo di Maria, “l’Immacolata Madre di Dio”. Appena quattro
anni dopo, cadde la ricorrenza del primo centenario della definizione dogmatica
dell’Immacolata: per l’occasione, lo stesso Pio XII indisse un “Anno mariano”
da celebrarsi in tutta la Chiesa. In sintonia con i desideri del Pontefice,
dall’11 al 17 ottobre si tenne a Palermo un “Congresso regionale mariano”, che
ebbe il suo culmine nel pomeriggio dell’ultimo giorno. Decine di migliaia di
persone, provenienti da tutta l’Isola, si riversarono a Palermo, per ascoltare
quello che avrebbe detto il Sommo Pontefice nel suo radio-messaggio ai
siciliani e per onorare Maria Immacolata, “presidio e decoro di Sicilia”. Nelle
prime ore del pomeriggio, la statua dell’Immacolata uscì in processione dalla
basilica di S. Francesco, per dirigersi al grande piazzale del Foro Italico,
già gremito di fedeli. Presieduto dal cardinale Ernesto Ruffini, era presente
tutto il Collegio dei Vescovi siciliani, come pure erano presenti tutte le
Autorità regionali, civili e militari. Una folla immensa ascoltò commossa,
attraverso il collegamento radio, le parole del Pastore Angelico. Il Santo
Padre Pio XII, dopo aver ricordato la gloriosa storia religiosa dell’Isola, si
rivolse direttamente alla Vergine Immacolata, invocandola col dolce titolo,
tanto caro ai Siciliani, di “Bedda Matri”. Infine, concluse il suo
radio-messaggio impartendo a tutti i presenti l’apostolica benedizione. Seguì
un solenne pontificale in rito latino e greco, al termine del quale il
cardinale Ernesto Ruffini pose sull’antica statua dell’Immacolata un nuovo
stellario in oro, mentre dalla moltitudine dei fedeli presenti si innalzava in
un’interminabile ovazione.
Questa, a tutt’oggi, rimane purtroppo l’ultima imponente
manifestazione di popolo in onore della Vergine Immacolata: da allora, la città
di Palermo non ha più visto niente di simile, neppure in occasione delle
recenti celebrazioni, che hanno avuto luogo nel 2004, per i 150 anni della
definizione dogmatica. Seppur in misura minore che altrove, infatti, anche la
vita religiosa dell’Isola presenta in maniera ormai evidente i tristi effetti
della grave crisi che da oltre quarant’anni travaglia la Chiesa universale:
crisi di cui, purtroppo, non si vede ancora la fine, sebbene sia stata
denunciata da tutti i Romani Pontefici che, a partire da Paolo VI, si sono
succeduti sulla cattedra di Pietro. E anche in Sicilia, come altrove nel mondo,
all’affievolirsi della fede ha fatto seguito quell’impressionante e
inarrestabile decadimento spirituale e morale, che interessa ormai ogni ambito
della vita civile, sia pubblico che privato.
Pur tuttavia, sono ancora tanti i fedeli dell’Isola i quali
nutrono nel loro animo la certezza incrollabile che, alla fine, il Cuore
Immacolato di Maria, come Ella stessa ha rivelato, trionferà. Trionferà
sull’antico avversario, come già trionfò nel primo istante del suo Immacolato
Concepimento, schiacciando la testa del serpente infernale. Ed essendo la mediatrice
universale di tutte le grazie, trionferà qual Madre di misericordia, e
preparerà l’avvento glorioso del Regno di Cristo.
Che il popolo palermitano, che per secoli ha riposto ogni
speranza di salvezza in Colei che è “l’onnipotente per grazia”, possa
continuare a perseverare nella fede ricevuta dai padri. E possa così, anche in
quel giorno, essere partecipe della sua vittoria e della sua gloria!
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